Il paradosso di Solow

Le cosiddette rivoluzioni tecnologiche rappresentano sicuramente una delle principali fonti di legittimazione della società in cui viviamo, che le presenta come “Il Progresso”, contro il quale è vano e stupido opporsi. I dibattiti sull’uso capitalistico delle macchine e sulla non neutralità della scienza sono stati confinati agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Tuttavia non è per nulla assodato che le strabilianti innovazioni tecnologiche di questi ultimi anni (computer, internet, smartphone, e-commerce, intelligenza artificiale, biotecnologie) portino, oltre a tutte le contraddizioni e le controindicazioni che abbiamo imparato a conoscere sulla nostra pelle, anche la crescita economica, imperativo categorico dei nostri tempi. Uno sguardo critico sul progresso tecnologico, su come vengono utilizzate le nuove tecnologie, sulle loro conseguenze da ogni punto di vista, è più che mai urgente. Col seguente articolo pubblicato su Carmilla on line propongo qualche riflessione a partire dal “Paradosso di Solow”: https://www.carmillaonline.com/2023/05/04/il-ritorno-del-paradosso-di-solow/

Il Periodo Especial a Cuba

La ricerca che trovi  allegata in .pdf è il frutto di due anni circa di lavoro svolto, tra il 1994 e il 1996, presso il Dipartimento di Sociologia e il Dipartimento di Economia dell’Universidad de Oriente di Santiago de Cuba. Il finanziamento è stato elargito, sotto forma di borsa di studio e perfezionamento all’estero, dall’Università degli Studi di Milano.

I dati riportati sono stati parzialmente aggiornati fino al 2007, ma la società cubana, nel frattempo, è cambiata: questa ricerca ha ormai un interesse storico.

A metà degli anni Novanta, in Italia, si è vissuta una fugace stagione di interesse per Cuba. La profezia dell’effetto domino che avrebbe trascinato, a partire dal 1989, tutti i paesi ex socialisti verso un luminoso futuro di “libero mercato” non si era realizzata. Cuba, in particolare, resisteva, pur nella sua povertà, difendendo, tra l’altro, istruzione e sanità per tutti e a un buon livello. Lo sviluppo del turismo aveva portato molti italiani sull’isola e i meglio intenzionati ritornavano incuriositi da quel paese e da quel popolo così particolari.

Cuba, lasciandosi alle spalle i terribili primi anni del decennio 1990, caratterizzati da una crisi economica drammatica – il periodo especial, per l’appunto, cioè una crisi simile a quella provocata da una guerra, ma in tempo di pace – sembrava destinata a riprendersi e a poter rappresentare un modello alternativo di sviluppo per i paesi del cosiddetto terzo mondo.

Si trattava di una visione o ingenua, o interessata, per nulla incline ad approfondire una realtà economica e sociale indelebilmente marcata dalle storture ereditate dalla burocratizzazione della rivoluzione e dalla divisione internazionale del lavoro all’interno del Comecon, tendente a sottovalutare la forza economica, e non solo militare, dell’imperialismo. Oggi viviamo in un’epoca che pare molto più distante rispetto ai circa 30 anni trascorsi da allora. A parte ristrettissime minoranze, nessuno si pone più il problema della natura economica e sociale di Cuba, e tantomeno quello di cercare modelli di sviluppo diversi da quel neoliberismo che garantisce così bene il sottosviluppo.

L’interesse di questo lavoro, a mio parere, risiede sia nel complesso delle informazioni che fornisce sulla cultura e sulla società cubane, sia nella tesi sviluppata, e cioè che il segreto della sopravvivenza di Cuba in quelle condizioni risiede fondamentalmente nel carattere ancora molto ugualitario, nonostante tutte le storture, di quella formazione sociale. 

Storie vere o Cronaca Vera?

Possiamo parlare di un nuovo verismo? Se ci dovessimo basare sulle fascette dei libri, i trailer dei film e delle serie, la risposta dovrebbe essere sicuramente positiva. Il fatto che il contenuto dell’opera sia “basato su una storia vera” rappresenta un plus, che evidentemente incrementa le vendite e accresce il pubblico. È come se una storia di pura fantasia non meritasse la stessa attenzione che merita una vicenda realmente accaduta, e quindi dovesse essere confinata in generi ben precisi, quali il fantasy, la letteratura rosa, eccetera. Non è semplice trovare una spiegazione per questo “verismo di ritorno”, testimoniato anche dal successo dei Biopic che, negli ultimi anni, si occupano sempre più spesso di personaggi ancora in vita. Si potrebbe ipotizzare che dalla letteratura e dal cinema, divenuti sempre dei più segmenti dell’industria dell’intrattenimento, ci si aspetti voyerismo e aneddotica. L’evasione ha un limite, e se ci si può ricreare con mondi inventati, serial killer, o con qualche commediola, serve poi un tuffo rigeneratore nella realtà delle storie vere. Un “verismo”, quindi, che non descrive le condizioni di vita delle classi subalterne, ma che si nutre di cronaca e di biografie illustri.

Per quanto mi riguarda, mi sforzo di fare l’esatto opposto: cerco di inventare delle storie, parzialmente sganciate dal presente, che servano a stimolare delle riflessioni sulla realtà. Sono convinto che la realtà possa essere esplorata molto meglio ricorrendo all’arma della fantasia che mediante una riproposizione di accadimenti, tanto reali, quanto inidonei a ricostruire dinamiche e relazioni politiche, sociali ed economiche.

Dall’Introduzione di Sugar Mountain

Windhoek, Namibia. Foto dell’autore.

Quando scrissi questo romanzo, tra il 2015 e il 2016, ero convinto che una guerra generalizzata in Europa sarebbe stata un’eventualità sempre più probabile, anche se non nel breve periodo.

Non è questa la sede per illustrare le mie considerazioni dell’epoca, comunqueben sintetizzate dal noto adagio di Jean Jaurès: “Il capitalismo porta la guerra come la nuvola porta la tempesta”. Mi chiedevo se potesse avere un senso dialogare dopo un secolo con Il tallone di ferro, un romanzo in cui Jack London previde nel 1907 la Prima guerra mondiale e l’avvento del Fascismo.

Fa impressione scrivere questa introduzione durante l’invasione russa dell’Ucraina e con il rischio di una terza guerra mondiale alle porte.

Il mio intento era quello di utilizzare la narrativa per esplorare le possibili reazioni e conseguenze a livello politico e sociale, non mi interessava descrivere la guerra, che infatti resta sullo sfondo, minacciosa e indefinita. La prima parte del romanzo è classificabile come fantapolitica. A seguito del dissolversi di un’opposizione organizzata e alla luce del sole e di un evento tragico, il protagonista si trova a dover stravolgere la sua esistenza e a vivere una vita completamente nuova. Nella seconda parte del romanzo si racconta in parallelo il presente del protagonista una volta espatriato e quello di una sorta di suo doppio, omonimo, che ha compiuto scelte esistenziali opposte alle sue: la vita di azione al posto di quella impiegatizia.

La narrazione in parallelo delle due storie, che inizia in epoche diverse, deve avere un effetto volutamente straniante. I due Raffaele si incontreranno in Namibia, ma i loro passaggi da Cuba hanno anche rappresentato, per me che vi ho vissuto per quasi due anni svolgendo attività di ricerca sociale post laurea, l’occasione per raccontare La Habana e Santiago de Cuba durante il Período especial a metà degli anni Novanta.

Sugar mountain è un romanzo con marcati riferimenti agli anni Novanta e Duemila, che cerca di fare i conti con le poche esperienze politiche di rilievo di una generazione che non ha mai potuto avere nemmeno l’illusione di cambiare il mondo, ma che forse non ha maturato neppure la consapevolezza di poterlo vedere sprofondare.

Il mio auspicio è che possa essere letto su più piani: la politica, il confronto schietto fra le idee in tutti i campi come momento indispensabile nei rapporti umani, le vicende personali contestualizzate nei drammi collettivi, il viaggio e la conoscenza, la dimensione onirica.