Possiamo parlare di un nuovo verismo? Se ci dovessimo basare sulle fascette dei libri, i trailer dei film e delle serie, la risposta dovrebbe essere sicuramente positiva. Il fatto che il contenuto dell’opera sia “basato su una storia vera” rappresenta un plus, che evidentemente incrementa le vendite e accresce il pubblico. È come se una storia di pura fantasia non meritasse la stessa attenzione che merita una vicenda realmente accaduta, e quindi dovesse essere confinata in generi ben precisi, quali il fantasy, la letteratura rosa, eccetera. Non è semplice trovare una spiegazione per questo “verismo di ritorno”, testimoniato anche dal successo dei Biopic che, negli ultimi anni, si occupano sempre più spesso di personaggi ancora in vita. Si potrebbe ipotizzare che dalla letteratura e dal cinema, divenuti sempre dei più segmenti dell’industria dell’intrattenimento, ci si aspetti voyerismo e aneddotica. L’evasione ha un limite, e se ci si può ricreare con mondi inventati, serial killer, o con qualche commediola, serve poi un tuffo rigeneratore nella realtà delle storie vere. Un “verismo”, quindi, che non descrive le condizioni di vita delle classi subalterne, ma che si nutre di cronaca e di biografie illustri.
Per quanto mi riguarda, mi sforzo di fare l’esatto opposto: cerco di inventare delle storie, parzialmente sganciate dal presente, che servano a stimolare delle riflessioni sulla realtà. Sono convinto che la realtà possa essere esplorata molto meglio ricorrendo all’arma della fantasia che mediante una riproposizione di accadimenti, tanto reali, quanto inidonei a ricostruire dinamiche e relazioni politiche, sociali ed economiche.