Avviso: raccomando a chi abbia intenzione di leggere il mio romanzo Sugar mountain, cosa che vivamente consiglio, di non leggere questo post.
Il gesto compiuto da Luigi Mangione, come ormai anche i muri sanno, l’uccisione del CEO di United Healthcare Brian Thompson, è sicuramente paragonabile a quello di Raffaele, protagonista del mio romanzo Sugar mountain.
La somiglianza nelle modalità (uccisione a sangue freddo con una pistola) e nelle intenzioni (liberarci da un responsabile di una delle aziende più odiate) mi ha, in effetti, fatto sobbalzare. In fondo un personaggio è una creatura dell’autore, che a buon diritto può restare impressionato quando gli sembra che prenda vita.
Oltre alle similitudini fra i due vi sono due differenze. Raffaele uccide nel mezzo di una guerra il proprietario di una delle principali multinazionali produttrici di armi, differenza solo formale, e lo fa come emissario di un’organizzazione che l’ha addestrato per mesi a quello scopo, differenza sostanziale.
Per Raffaele, dato il contesto, non ci sarà un’ondata di entusiasmo mediatico, ma la domanda che si pone è la stessa: è morale uccidere un uomo responsabili di tante ingiustizie e lutti? Il mio romanzo fa il suo mestiere: solleva la questione e lascia la risposta al lettore. Mi sono limitato a fornire un paio di spunti. Da un lato le resistenze morali e politiche del candidato killer, influenzato da un argomento molto presente a sinistra e che si può riassumere così: l’assassino di un boia si trasforma anch’esso in un boia. Dall’altro le parole del Trostky di La loro morale e la nostra, utilizzate dal suo principale “addestratore”, che ritengono morale tutto ciò che ci avvicina alla rivoluzione, alla liberazione dell’umanità per la quale lottiamo.
Il gesto individuale di Mangione non ci avvicina – né ci allontana – da alcuna liberazione e tuttavia ha generato un’ondata di simpatia alla quale è difficile sottrarsi.
Tutto lo stordimento di massa, che in questi anni ha reso impossibile distinguere la destra dalla sinistra, che fa inciampare sempre nelle stesse pietre e sbattere continuamente la capoccia a chi solo prova ad alzarla, non è riuscito a cancellare un elementare senso di giustizia. Quello di chi è cresciuto leggendo Tex Willer e V per vendetta, ascoltando “La locomotiva”, o equivalenti più recenti. Quest’ultimo riferimento mi porta all’ultima considerazione, dato che gli eroi sono tutti giovani e belli.
I giornali e i tg hanno cercato di non dare molto risalto all’episodio, ma la crescita dell’ondata di simpatia dal basso ha spinto vari commentatori a dire la loro, assolvendo al proprio compito di Mandarini del potere costituito.
Spiccano in particolare due argomentazioni. Vediamo la prima, segnalatami da un amico: si parteggia per Luigi Mangione perché più “instagrammabile” (argh!) della sua vittima. Chi usa questo argomento, a mio parere, scambia i propri desideri con la realtà. Da decenni fanno di tutto per propinarci un mondo costruito sull’esteriorità, sull’immagine e, d’altro lato, per farci sembrare naturali le più odiose disuguaglianze e ingiustizie: non stupisce che mostrino di crederci. La popolazione mondiale opportunamente rimbecillita sarebbe sempre portata a parteggiare per un personaggio giovane e bello, anche a prescindere che si tratti di un assassino.
Il secondo argomento, avallato anche da organi di riferimento della cosiddetta sinistra, è che il Luigi Mangione sarebbe troppo ricco e poco politicizzato per diventare un eroe dell’anticapitalismo (La confusa romanticizzazione di Luigi Mangione, Il Post, 12/12/2024). Cascano le braccia davanti a tanta pochezza. Evidentemente la sinistra Ztl inorridisce davanti a un suo potenziale figlio che, abbandonate le tematiche alla moda, spara tre pallottole a un CEO, accusandolo di una colpa così plebea, come avere fatto crepare, aggravare o andare sul lastrico una grande quantità di poveracci, ai quali sono stati sistematicamente negati i rimborsi.
Spesso i dirigenti rivoluzionari provenivano da famiglie abbienti, o comunque non povere, inoltre Luigi Mangione quando è stato arrestato aveva con sé un documento politico. Inoltre le tre parole scritte sulle pallottole con un indelebile rappresentano un’evidente citazione di un libro: Jay M. Feinman: Delay, Deny, Defend: Why Insurance Companies Don’t Pay Claim and What You Can Do About, 2010.
Beato il popolo che non ha bisogno di eroi: non mi entusiasmo per un potenziale eroe dell’anticapitalismo, né per il dibattito che ne è seguito, ma constato che i CEO di simili aziende dormiranno sonni molto meno tranquilli.
Il che darà nuovo impulso al tema della secessione dei ricchi, che, detto per inciso, è uno dei temi del mio romanzo che dovrebbe essere in uscita a breve.