La Torre Azzurra

È finalmente uscito La Torre Azzurra

Il mio secondo romanzo è acquistabile nelle librerie e online:

Feltrinelli: https://www.ibs.it/torre-azzurra-libro-alberto-airoldi/e/9788880713739

Mondadori: https://www.mondadoristore.it/La-torre-azzurra-Alberto-Airoldi/eai978888071373

Hoepli: https://www.hoepli.it/libro/la-torre-azzurra/9788880713739.html

La Torre Azzurra

La storia è ambientata in varie periferie milanesi e segue da vicino due ragazzi alla ricerca di un amico anziano, coinquilino delle case popolari in cui vivono, misteriosamente scomparso. Si svolge in un futuro prossimo, in cui la macchina acchiappa-sogni non è più un modo di dire ma una realtà concreta al servizio dell’industria dell’intrattenimento.

La tendenza a vivere in un presente permanente non è una novità di inizio millennio: il fenomeno era già stato evidenziato negli anni ‘80, in particolare nelle ricerche relative alla condizione giovanile. Tuttavia, la sensazione è che l’appiattimento sul presente sia oggi estremamente pervasivo e trasversale alle generazioni. Nel romanzo, le persone faticano pure a ricordare i fatti di cronaca, fino a smarrire il senso della realtà, e per di più senza rendersene conto.

Il perché lo scoprirete leggendo.

I protagonisti sono due giovani della cosiddetta “Generazione Z” e un sessantenne, che si ha la buona creanza di non definire mai boomer. La vicenda che li coinvolge assume i contorni di un’indagine sui generis e si intreccia con quella di un giornalista rampante.

Se si volesse costringerlo in un genere, il romanzo potrebbe essere definito di fantapolitica. Non perché i temi trattati siano strettamente politici, bensì perché riguardano in generale alcune profonde trasformazioni subite dal nostro vivere in società: il rapporto fra tecnologia e immaginario, la dipendenza crescente degli individui dall’industria culturale, la manipolazione dell’informazione.

I protagonisti del romanzo sono – inconsapevolmente e a modo loro – dei resistenti: non subiscono la realtà, non si sono adeguati all’“educazione alla passività” che permea il mondo circostante e si sentono perciò in buon diritto di esigere un lieto fine; fosse anche una vittoria piccola, come quelle concepite in questi anni in cui sembra vietato pensare in grande.

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